“Le morti sul lavoro non sono una fatalità ma una vera tragedia”. Parla Maria Cecilia Guerra
All’indomani dell’ennesima strage sul lavoro – i cinque morti nel cantiere di Firenze – si riaccende l’attenzione su un tema che non dovrebbe mai vederla spenta: la sicurezza sul lavoro. Qual è la situazione nel nostro Paese, e cosa serve per intervenire davvero? Lo chiediamo alla responsabile Lavoro della segreteria del Pd, Maria Cecilia Guerra.
I numeri degli incidenti mortali sul lavoro denunciati all’Inail sono impietosi: nel 2023 sono stati oltre 1.041, quasi tre morti al giorno. Le denunce di infortunio totali sono state 585mila: sono numeri enormi, qual è la situazione che descrivono?
Una situazione di forte sottovalutazione del problema. Siamo di fronte a una vera tragedia, perché è tale quella di chi si reca al lavoro e non torna più. una tragedia, ma non una fatalità, perché è alimentata dall’insufficienza delle politiche di contrasto del lavoro nero o irregolare, da un modello di sviluppo in cui si cerca di guadagnare competitività attraverso la compressione del costo del lavoro, da una tolleranza che arriva alla legittimazione dell’evasione fiscale e contributiva. A questo si associa la difficoltà ad adottare adeguate politiche di prevenzione anche attraverso la formazione, a fronte di una manodopera sempre più precaria, con contratti di lavoro a termine o in somministrazione, di breve o brevissima durata.
Quali sono i lavoratori più a rischio, e che ci dicono le statistiche anche rispetto all’età e al genere delle vittime?
I due settori economici dove è maggiore l’incidenza degli infortuni sono quelli dei metalli e macchinari e quello delle costruzioni e impianti. I lavoratori più a rischio sono quelli impiegati nella catena dei subappalti in edilizia, dove sono concentrati più del 70 % degli incidenti del settore. Quando si guarda agli incidenti per genere e per età, i giovani e le donne subiscono meno incidenti in valore assoluto, ma in proporzione al numero degli occupati gli infortuni sono stati nel 2022 3,1 ogni 1000 occupati uomini e 3 ogni 1000 occupate. Nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni ci sono stati 6,7 infortuni ogni 1000 occupati, tra i 25 e i 34 anni 3, tra i 35 e i 49 anni 2,4, tra i 50 e i 64 anni 2,7 e sopra i 65 anni 2,2. Le morti sul lavoro riguardano quasi nel 90% dei casi maschi e hanno una incidenza decisamente superiore per le fasce di età più alta.
Il Pd, insieme ai sindacati, chiede che siano estese anche al privato le tutele del codice degli appalti e che si metta fine alla catena dei subappalti a cascata. Ma gli obblighi di sicurezza non seguono i subappalti?
Il ricorso ad appalti o subappalti è molto spesso motivato dalla volontà di comprimere il costo del lavoro, impiegando lavoratori con contratti diversi da quello del committente, con condizioni economiche e normative diverse. Significa contratti con retribuzioni basse, scarse tutele, e poca formazione. Questo è particolarmente vero per l’edilizia dove la formazione richiede un numero di ore superiore rispetto ad altri settori proprio perché le problematiche della sicurezza sono più complesse. Assumendo un lavoratore con un contratto diverso da quello edile, come si fa in molti appalti e subappalti, si possono saltare questi oneri. Per questo chiediamo, assieme ai sindacati, che siano estese agli appalti e subappalti privati le stesse tutele di quelli pubblici. Significa ad esempio, in edilizia, applicare il contratto edile anche agli appalti e subappalti privati. Per garantire la parità economica e normativa fra lavoratori che operano con il committente e lavoratori che operano con gli appaltatori deve trattarsi del contratto edile siglato dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, mentre la ministra Calderone sembra volere fare riferimento ai contratti maggiormente applicati, che potrebbero però essere stipulati da sindacati pirata che non rappresentano i lavoratori: proprio quei contratti che favoriscono la concorrenza salariale al ribasso e che dobbiamo contrastare.
Il problema dei controlli sembra essere molto importante, a partire dalle risorse, umane ed economiche, dell’Ispettorato del Lavoro. Si parla anche di una patente a punti per gli imprenditori, ed è un tema che interroga anche la responsabilità di chi fa impresa, non solo verso i propri lavoratori, ma anche nei confronti del Paese e del modello di Paese che immaginiamo.
I controlli sono un elemento fondamentale. Bisogna garantire che si proceda con le assunzioni oltre a quelle già previste dal ministro Orlando, attirando personale qualificato anche attraverso una remunerazione adeguata. Secondo l’ultimo rapporto annuale delle attività di tutela e vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale redatto dall’Ispettorato nazionale del lavoro, delle 17.000 aziende italiane ispezionate circa otto su dieci presentano delle irregolarità. È allora evidente che occorre prevedere conseguenze più gravi per queste irregolarità. Si può trattare di sanzioni, amministrative o penali, più elevate, ma sicuramente sarebbe bene dare attuazione a un meccanismo come quello ipotizzato dal decreto legislativo 81 e noto, appunto, come patente a punti. Ogni impresa ha un insieme di punti e li perde, così come avviene nel caso della patente di guida, se non rispetta le regole. Sotto un certo punteggio non si viene più considerati idonei a partecipare agli appalti pubblici, né a godere di eventuali sgravi o incentivi di qualsiasi natura. Se i punti si azzerano l’impresa deve chiudere, fino a che non abbia ripristinato le condizioni adeguate.
Anche il governo annuncia nuovi interventi e l’inasprimento delle pene. Servono nuove norme?
Sarà importante vedere cosa verrà presentato. Speriamo ad esempio che rientri fra le norme annunciate il ripristino dell’obbligo del cartellino identificativo per chi lavora nei cantieri edili, che il governo, nel ddl lavoro in discussione alla Camera, ha lasciato invece solo per appalti e subappalti, e che si prevedano nuovamente le sanzioni cancellate per chi non lo espone. Un altro aspetto importante che suggeriamo al governo riguarda la necessità di cancellare l’intermediazione di mera manodopera. Bisogna cioè impedire che sia possibile fare finti appalti in cui l’appaltatore può essere privo di qualsivoglia struttura organizzativa, che significa ad esempio la strumentazione che serve per effettuare il lavoro, e ha di fatto la sola funzione di mettere a disposizione del committente i propri lavoratori, magari dirigendoli attraverso caporali, come avviene in molti settori. È il modo con cui si affida ad altri soggetti il compito di fare lavorare persone in nero o con contratti che negano diritti, formazione e salari adeguati. Una modalità che molto spesso si appoggia appunto a false imprese, che aggirano anche gli obblighi fiscali e contributivi.
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